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Market timing: saper rientrare è il vero problema

Data pubblicazione: 27 maggio 2025

Autore:

Wealthype.ai per Fineco Bank
Rappresentazione visiva dell'articolo: Market timing: saper rientrare è il vero problema
  1. Comprare sui minimi e vendere sui massimi è il sogno di ogni investitore.
  2. Ma il rischio di monetizzare le perdite o di trovarsi disinvestiti nei giorni di rimbalzo è concreto.
  3. Dopo i cali arrivano i recuperi: come conviene muoversi?


COGLIERE L’ATTIMO SUI MERCATI

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Fonte: Elaborazione Wealthype


Con le Borse in altalena, la tentazione di farsi più furbi del mercato è forte. “Le cose si mettono male, vendo tutto prima del crollo”. “Entro adesso che i mercati scendono, così sfrutto la situazione a mio vantaggio”. Lo sappiamo, cercare di prevedere perfettamente i momenti migliori e peggiori del mercato azionario, riuscendo a comprare sui minimi e a vendere sui massimi, è il sogno proibito di ogni investitore.


A maggior ragione quando – come è accaduto di recente, in scia al “Liberation Day” di Donald Trump – si verificano crolli improvvisi, che rendono ancora più allettante l’idea di fare market timing, superando la media del mercato sul lungo periodo. Ma è davvero così facile? E soprattutto: il gioco vale la candela?


Ad alimentare il mito del timing perfetto – ben presente nella mente di molti investitori – contribuisce indubbiamente la cultura odierna che ci porta a volere “tutto e subito”. Ma azzeccare davvero – e costantemente – il momento perfetto per entrare e uscire dai mercati è veramente difficile, anche per i trader più navigati. E lo è perché i fattori che influenzano i mercati sono moltissimi e di diverso tipo, e soprattutto possono cambiare drasticamente direzione in un battito di ciglia: dai dati macro sullo stato di salute di un’economia agli avvenimenti geopolitici, fino al semplice sentiment degli investitori.

La vera sfida del market timing? Azzeccare i tempi del rientro sui mercati


Non solo. Anche ammesso (e non concesso) di riuscire a uscire dal mercato subito prima di un poderoso crollo, c’è il rischio concreto di non essere altrettanto pronti nel rientrare. Dopo aver venduto, infatti, la paura di registrare altre perdite o l’ansia di rientrare nel momento sbagliato possono paralizzare il processo decisionale, tenendoti fuori dal mercato per periodi prolungati. Il che non fa bene al tuo portafoglio.


Il grafico mostra il risultato ottenuto da chi è uscito dal mercato il giorno dopo ognuna delle 20 peggiori sedute dal 2009 al 2022 (ed è rimasto disinvestito per periodi che vanno da una settimana a un anno). Il calcolo si basa su un investimento iniziale di 1.000 dollari e sui rendimenti ottenuti dall’indice S&P 500 al lordo dei costi di transazione. Vediamo cosa viene fuori.


RESTARE INVESTITI CONVIENE

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Fonte: Stordahl Capital Management, Clearnomics, S&P (Dati in dollari)


Uscire dal mercato in seguito a forti flessioni potrebbe farti perdere golose occasioni di guadagno nelle giornate di rimbalzo, che tipicamente seguono i cali. E non si tratta di “noccioline”: il grafico qui sotto mostra il rendimento ottenuto da diecimila dollari investiti 20 anni fa nell’indice S&P 500. Nel primo scenario, in cui l’investimento non è mai stato toccato, al 31 dicembre 2024 il capitale era aumentato a 61.750 dollari. Nel secondo caso, in cui invece si sono “persi” i dieci giorni migliori di questi ultimi 20 anni, il capitale finale era di 22.871 dollari. E nel terzo caso, perdendo i venti giorni migliori, il periodo si è concluso addirittura con un capitale inferiore a quello iniziale.


COSA SUCCEDE SE TI PERDI I GIORNI MIGLIORI?

Ecco com’è andata a chi ha investito 10mila dollari sull’S&P 500 dall’1° gennaio 2005 al 31 dicembre 2024

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Fonte: T. Rowe Price, S&P


Quando la volatilità è molto elevata del resto, a giorni di forti perdite si alternano disordinatamente giorni di recuperi eccezionali, un po’ come stiamo osservando nelle ultime settimane. Un contesto in cui la rincorsa del timing perfetto rischia di lasciarci insoddisfatti e frustrati.

Qualche esempio dalla storia recente, per capire meglio ciò di cui stiamo parlando


Ricordi la Brexit? Il referendum del 23 giugno 2016 ha provocato un forte calo dei mercati globali, con l’S&P 500 che è sceso del 5,3% in soli due giorni di negoziazione. Tuttavia, nel giro di un mese, il mercato ha recuperato tutte le perdite. Analogamente, la pandemia di Covid-19 ha fatto crollare il più importante indice statunitense del 34% dal 19 febbraio al 23 marzo 2020, ma nel giro di cinque mesi l’indice è rimbalzato, raggiungendo nuovi massimi. Potrebbe succedere qualcosa del genere anche con il crollo registrato a seguito degli annunci di Trump sui dazi, lo scorso 2 aprile 2025.


Insomma, come ci insegna la finanza comportamentale, prendere decisioni di investimento in periodi di alta volatilità è un po’ mettersi al volante durante un attacco di vertigini. Non proprio la scelta più saggia che si possa fare, mettiamola così. Come ripetiamo spesso, sul lungo termine restare investiti paga di più: guardandoci indietro tra qualche anno, quella che stiamo vivendo ci apparirà come una fase di ribasso simile a tante altre che sono venute prima e che, inevitabilmente, verranno in futuro.

Non ne sei ancora convinto? Ecco altri dati che depongono a favore del restare investiti


Parlando di market timing, una recente ricerca dello Schwab Center for Financial Research mostra alcune evidenze interessanti. Lo studio prende in esame la performance ottenuta da cinque ipotetici investitori (con un orizzonte temporale di medio/lungo termine) che hanno seguito diverse strategie di investimento.


Ognuno di loro ha ricevuto duemila dollari da investire all’inizio di ogni anno per 20 anni, dal 2003 al 2022, e tutti hanno lasciato il capitale investito per l’intero periodo sul mercato azionario, rappresentato in questo caso dall’indice S&P 500 (una scelta dettata dalla comodità di calcolo, ma – vale la pena di ricordarlo – non ottimale per il singolo investitore, che invece dovrebbe diversificare anche a livello geografico e di asset class).

Ecco cosa è emerso:


  1. Investitore A. È stato in grado di azzeccare, puntualmente, il market timing perfetto. Grazie alla sua abilità e a una buona dose di fortuna, ha investito ogni anno i suoi 2mila dollari nel giorno in cui il mercato ha chiuso sul livello più basso di quell’anno. In attesa del momento “perfetto” (che per esempio nel 2004 si è verificato in agosto), ha investito i suoi duemila euro (disponibili dal primo gennaio di ogni anno) in T-Bill.
  2. Investitore B. Non ha mai provato a fare market timing. Semplicemente, ha investito i soldi appena ne ha avuto la possibilità (quindi, ha investito duemila dollari all’inizio di ogni anno per 20 anni).
  3. Investitore C. Al contrario dell’investitore A, è riuscito a investire ogni anno i suoi duemila dollari nel momento di picco del mercato. Per tutti e 20 gli anni.

Ecco a quanto ammontava il portafoglio di ognuno di loro alla fine del 2022, dopo vent’anni di investimenti.


STRATEGIE A CONFRONTO

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Fonte: Schwab Center For Financial Research (Dati in dollari)


Naturalmente, a ottenere il risultato migliore è stato l’investitore A, quello che ha azzeccato il market timing perfetto. Peccato che eguagliare la sua performance nel prevedere i saliscendi del mercato sia praticamente impossibile. A balzare agli occhi, tuttavia, sono i guadagni ottenuti dagli altri investitori: l’investitore B, che senza curarsi delle tempistiche ha investito all’inizio di ogni anno, appena riceveva il denaro, ha ottenuto alla fine dei 20 anni un capitale che non si discosta molto da quello del “mago del market timing”. Ma la cosa più sorprendente è che addirittura l’Investitore C, che ha sbagliato qualsiasi possibile tempistica sui mercati, ha chiuso il periodo con un capitale di 141mila dollari, ben superiore ai 40mila dollari complessivamente investiti nel corso degli anni.


E i risultati sono stati del tutto simili indipendentemente dal periodo di tempo considerato, assicura Charles Schwab, che ha ripetuto l’esperimento su tutti i 78 periodi di 20 anni dal 1926 a oggi (per esempio, 1926-1945, 1927-1946, eccetera). Tutto questo ci dice una cosa molto semplice: spesso, il costo derivante dall’attesa del perfetto market timing supera il beneficio che ne deriva.

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Stefano Bergamini

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